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- Marzo 20, 2018
L’associazione L’Italia che verrà ha promosso il 14 marzo un incontro sul futuro di Roma. Ospiti Marco Causi, Roberto Morassut e Walter Tocci, moderatore Giuseppe Vacca. L’incontro, come era nelle intenzioni degli organizzatori, ha cercato di approfondire alcuni aspetti che investono non solamente la situazione percepita della città che, come è noto, sta attraversando un periodo di crisi sul piano globale, della vivibilità, della fruizione dei servizi, dello scollamento sociale e comunitario.
Piuttosto, oltre a questi aspetti critici, è necessario più che mai ripensare al ruolo di Roma all’interno di molteplici prospettive, per individuare possibili direttive alfine di uscire da una crisi “epocale” della Capitale. Per cui, accanto ad una Roma “istituzionale”, alla sua “capitalità”, con tutti i problemi che tale ruolo da sempre comporta, vi è la realtà di una grande città che stenta ancora a vedere realizzata la sua vocazione urbana e sociale, in relazione a chi vi abita e vi opera.
Come è stato sottolineato nel corso dell’incontro, Roma appare oggi confusamente in mezzo al guado. Aggrappata, suo malgrado, ad una vocazione storica poiché in essa la città trova, come dire, il suo “credito” nel mondo, ma anche ancorata ad una dimensione di “città”, novecentesca, seppure col desiderio (e con l’auspicio di tanti) di proiettarsi in una nuova vocazione, che è quella della cosiddetta “realtà metropolitana”.
Roma, complice anche il “deserto” che la circondava ancora nell’ultimo scorcio del 1800, non ha fatto altro che espandersi in modo più o meno caotico, grazie alle politiche immobiliari e fondiarie che si trascinano da oltre un secolo. Il risultato finale è che la città si caratterizza per un suo centro, la “Roma” simbolo e credito verso il mondo intero, e una enorme periferia dilatata tutt’intorno, priva di un tessuto connettivo di tipo sociale, economico e culturale.
L’articolazione degli interventi ha sottolineato una serie di nodi che, seppure attinenti a settori distinti, hanno finito con il delineare un quadro complessivo nonché le ragioni di una crisi che, qualcuno ha indicato come “epocale”. Siamo alla fine di un ciclo che è iniziato a Porta Pia nel 1870, ha affermato Tocci.
Possiamo dire che la storia di Roma capitale è ormai conclusa. Sono venuti a mancare quei motori economici, sociali e culturali che hanno permesso il suo sviluppo in un secolo e mezzo. È finito, soprattutto quel rapporto “storico” fra Roma e la Nazione. La fine di un ciclo, ovviamente, non vuol dire la fine di tutto. Roma, col suo carico simbolico, resta saldamente in piedi, sopravanza la realtà nazionale per mantenere il suo ruolo e la sua importanza a livello mondiale, complice ovviamente, il ruolo di centro della spiritualità cristiana (che con papa Francesco ha avuto inediti ed importanti impulsi di svecchiamento).
Roma è ancora potenzialmente al centro delle questioni del mondo: basti pensare alla sua collocazione geografica, nel cuore del Mediterraneo, un luogo in cui oggi si disputano le grandi questioni del mondo.
Tuttavia, la realtà di Roma non è oggi all’altezza della sua storia, né del suo essere simbolo e nemmeno del ruolo che la città potrebbe giocare nel mondo. Ed è questo il problema di cui la politica più attenta deve farsi carico. Come ha sottolineato Causi, va impressa una spinta nuova al rapporto fra politica ed economia, fra lo spazio delle istituzioni e quello del mercato. Poiché, ha proseguito Causi, quello dello sviluppo economico, in rapporto a ciò che la politica può compiere sul piano della riorganizzazione dell’assetto complessivo, è uno, forse il più decisivo, percorso che Roma può intraprendere per rendere viva la complessiva area metropolitana, dal momento che molta parte dell’attività produttiva regionale si svolge proprio in quel territorio.
Se i numeri della produzione ci suggeriscono una realtà siffatta, tuttavia, la cornice politica e istituzionale resta arretrata. Per fare solo un esempio, i Municipi sono solo uffici che si occupano di amministrazione e non hanno il minimo legame con la vita produttiva della città. Si capisce, allora, il peso del ritardo, dal momento che, come è stato affermato, nella realtà odierna, i comuni non contano più nulla e a contare sempre più nel futuro saranno solo le grandi aree metropolitane e regionali strutturate.
Ed è in tal senso che Morassut ha sottolineato l’importanza dell’azione politica ribadendo la necessità di dare una forma e assetto nuovo al potere democratico sulla metropoli. Tuttavia, il nodo oggi è rappresentato dagli esiti delle ultime elezioni, dai rapporti di forza del futuro Parlamento, dacché, ricorda Morassut, è in quella sede che si dovrà discutere di ciò che riguarderà il nuovo assetto di Roma Capitale e Città metropolitana.
Sul piano delle proposte, data la complessità della materia, vanno rilevati differenti fronti di azione. In alcuni casi si tratta di proposte che si muovono in una prospettiva articolata e non a breve termine. Tuttavia, risulta necessario non porre tempo in mezzo. È compito della politica e delle forze più sensibili rinnovare la battaglia istituzionale per rimettere al centro la “questione romana”, nelle sedi opportune ma anche e soprattutto fra i cittadini proprio perché è indispensabile che qualsiasi decisione su Roma non sia percepita come calata dall’alto, specie in un momento come questo, di disaffezione palese dei cittadini rispetto alle istituzioni e alla politica.
Ma anche proposte mirate come, ad esempio, l’idea di puntare ad un piano di ricollocamento di tutto il patrimonio immobiliare dismesso negli ultimi anni, giocando non più solo al “risparmio” o mero “guadagno” per le casse pubbliche, ma anche prevedendo trasformazioni in luoghi di prestigio culturale, di arricchimento dell’offerta della città nei riguardi non soltanto di investitori stranieri “economici”, ma anche sul piano della scienza, cultura, arte. Come pure non lasciare incompiute le opere di trasformazione dell’assetto della Roma archeologica: oggi i sogni di Benevolo e di Cederna possono divenire realtà, rendendo Roma veramente “unica” nel panorama mondiale.
Punto di forza, a mio avviso, può essere quello della formazione superiore. Roma come polo globale universitario di eccellenza nel mondo, e non solo negli ambiti delle scienze umanistiche (nei quali la tradizione è già dalla nostra parte), ma anche in quelli scientifici. I tre poli universitari statali principali rappresentano oggi un punto di forza sui quali la città nel suo complesso, ma soprattutto le istituzioni locali e nazionali, dovrebbero investire con la massima attenzione. Del resto, quello che potrebbe apparire come un sogno, ossia coniugare l’aspetto culturale e formativo della conservazione storica e artistica con quello dell’innovazione scientifica, potrebbe veramente realizzarsi e fare da traino ad una rinascita di Roma.
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