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- Marzo 11, 2018
Marco Causi
SOS Roma. La crisi della capitale: da dove viene, come uscirne
Armando EditoreL’Italia Che Verrà – Associazione p…
2018 (in corso di stampa)
Estratti
Il volume propone un’analisi della città di Roma che intreccia diverse dimensioni: l’economia, il territorio, le istituzioni, le infrastrutture e i servizi di pubblica utilità, la politica.
La Roma produttiva, negletta e dimenticata, e il dualismo della struttura produttiva
L’analisi mette a fuoco i punti di forza e i punti di debolezza della struttura economica romana. Descrive le dimensioni e le caratteristiche di un importante segmento che, sia nell’industria che nei servizi privati, è riuscito a consolidare anche durante la crisi posizioni competitive e specializzazioni che hanno rilevanza nazionale e internazionale. Si tratta di una Roma produttiva troppo spesso negletta e dimenticata dalla discussione pubblica e dallo stesso immaginario collettivo riferito alla città eterna, dove si concentrano circa 430 mila addetti, il 27 per cento dell’occupazione urbana. Essa convive accanto a un ampio settore urbano legato a tradizionali attività terziarie sia private che pubbliche al cui interno viceversa emergono segnali regressivi sul piano dell’evoluzione della pro- duttività e delle condizioni di lavoro e dove si manifesta un gap di innovazione di grandi proporzioni. La tesi sostenuta è che il tradizionale dualismo della struttura produttiva urbana si è accentuato durante la crisi e non sembra diminuire con il ritorno nel 2015 a tassi di crescita positivi e superiori a quelli medi dell’economia nazionale. È cresciuto il divario fra un’importante area di imprese e settori capaci di resistere e crescere su avanzate frontiere tecnologiche e di mercato e ampi segmenti che, soprattutto nel terziario tradizionale privato e pubblico, mostrano produttività declinante e restano lontani da percorsi di innovazione organizzativa, tecnologica, di miglioramento del capitale umano. Anche da questo dualismo nasce un aumento delle diseguaglianze di natura economica che a Roma ha assunto dimensioni più accentuate di quanto accaduto durante la crisi nel resto d’Italia.
Roma appare oggi come una città in bilico fra le forze contrapposte che si esprimono all’interno della sua struttura produttiva. Le conclusioni suggerite sono due. Primo, è necessario evitare che le condizioni di contesto in cui operano i settori d’impresa più avanzati e dinamici vengano poco a poco erose dagli effetti negativi prodotti dai settori arretrati, oltre che dalla disattenzione della politica locale e di quella nazionale. Secondo, è necessario affrontare con politiche specifiche e dedicate la questione dell’innovazione nei settori tradizionali, con l’obiettivo di concentrare lì gli obiettivi di modernizzazione riferiti alle organizzazioni e alle imprese, nonché alla qualità delle tecnologie e del capitale umano.
La “specialità” di Roma e l’inadeguatezza della governance locale
Roma non è uguale a nessun’altra città italiana, e non solo italiana. Ha caratteristiche del tutto peculiari ed eccezionali. Questo lo capiscono tutti, e nessuna persona di buon senso avrebbe da ridire sulla necessità che i poteri pubblici locali in una città così particolare non possano limitarsi a quelli ordinari, e cioè a quelli dei circa novemila comuni italiani di qualsiasi ampiezza territoriale e dimensione demografica. L’opinione pubblica percepisce bene questa circostanza, e nel manifestare insoddisfazione per lo stato dei servizi pubblici romani sconta con atavico senso di fatalismo, al di là dei cicli storici e politici, una sorta di “impossibilità” della città a sollevarsi verso gli standard urbani non solo delle grandi capitali europee ma anche di altre città italiane.
Gli addetti ai lavori sono ben consapevoli dei tanti fardelli e squilibri che gravano sull’amministrazione comunale di Roma, all’origine anche delle ricorrenti crisi di bilancio, e sanno che le loro radici si trovano in un assetto inadeguato e inefficiente della governance locale.
Il Campidoglio non è né carne né pesce, al tempo stesso troppo grande per gestire i servizi di prossimità in un immenso territorio urbano e troppo piccolo per programmare i servizi a rete con una logica di area vasta.
La questione è che, nella vicenda storica dell’Italia repubblicana, la consapevolezza di un assetto inadeguato dei poteri pubblici locali a Roma, dove una volta tanto il buon senso popolare e le analisi specialistiche concordano, non è riuscita a tradursi in una riforma organica, moderna, stabile, duratura.
Perché? L’analisi contenuta nel volume propone due risposte. Una fa riferimento alla diffidenza anti-romana dell’opinione pubblica nazionale, a partire da quella delle comunità dell’hinterland e del resto del Lazio, e quindi al fatto che interventi a beneficio di Roma sono malvisti nel resto del paese e creano problemi di tipo politico a tutte le forze parlamentari, e non soltanto a quelle di più estrema ispirazione nordista.
La seconda si concentra sulla questione della “specialità” di Roma. Qui, anche sulla base di un’analisi territoriale, viene sostenuta la tesi che intorno alla “specialità” di Roma si è fatta e si fa tanta confusione, e che questo è probabilmente un motivo che, insieme ad altri, può contribuire a spiegare lo stallo riformista.
La “specialità” romana ha infatti due dimensioni, una di natura funzionale legata al ruolo di capitale della Repubblica e una di natura territoriale legata alla dimensione metropolitana. Per tutte e due andrebbero trovati adeguati strumenti di nuova governance senza privilegiare l’una a detrimento dell’altra. Su entrambe le direttrici i tentativi di riforma, che vengono descritti e commentati nel volume, sono in fase di stallo.
Dall’analisi si passa alle proposte. Alcune sono attuabili dentro il quadro legislativo esistente: ci sono tante politiche pubbliche locali che potrebbero migliorare a Roma senza attendere modifiche normative o leggi speciali, ma soltanto grazie alla buona volontà, alla leale collaborazione e a un lavoro intelligente e innovativo da parte di tutte le istituzioni locali, con un forte e quotidiano affiancamento da parte del governo nazionale.
Pensare che i problemi di Roma possano essere risolti solo ricorrendo alla “specialità” della funzione di capitale produce la conseguenza di sottovalutare molti esistenti strumenti di intervento pubblico, di livello territoriale e non, che anche a Roma possono essere utilizzati. Induce nell’amministrazione locale e nella sua dirigenza politica e tecnica un comportamento apatico e meramente rivendicazionista: piuttosto che lavorare, come fanno tutti nel resto d’Italia, per costruire programmi e progetti da portare nelle sedi ordinarie di valutazione e di concertazione interistituzionale, tutto viene rimandato all’attesa messianica di un canale privilegiato a cui Roma avrebbe diritto in quanto capitale.
Ad esempio, nell’ultima fase della discussione pubblica è emersa da parte di alcuni autorevoli osservatori, come ad esempio Sabino Cassese, la proposta di costituire un ufficio per Roma presso il governo nazionale. Si tratta di una proposta che fa parte del pacchetto sostenuto in questo volume, suggerita fin dal 2015, e che, comunque, non ha bisogno di norme legislative per essere attuata. Sempre nell’ultima fase, durante il 2017, è meritevole il tentativo di costruire attraverso un “Tavolo per Roma” una sede di concertazione fra governo nazionale e istituzioni locali. Al di là degli incerti risultati del tentativo, appare tuttavia evidente l’opportunità di ancorare queste sedi di concertazione a un quadro stabile e certo di norme, regole, procedure.
Facendo un passo avanti, il volume descrive il disegno di una nuova possibile organizzazione dei poteri pubblici locali che possa superare le criticità esistenti, per la quale è necessario un intervento legislativo (ma non costituzionale) contenuto in una proposta di legge depositata in Parlamento. La visione di questa riforma fa perno sull’evoluzione dell’attuale comune di Roma in città metropolitana (guardando al modello di Londra) e sul metodo della co-governance e della co-gestione delle attività e dei servizi di scala metropolitana fra regione e città metropolitana (guardando al modello di Parigi).
Il deficit di manutenzione e investimenti sui beni pubblici e le infrastrutture collettive
Gli investimenti pubblici sono crollati nell’area romana dopo il 2008 in misura più elevata di quanto accaduto a livello nazionale, mentre nel decennio precedente avevano espresso volumi molto elevati. Fra 2003 e 2007 gli investimenti finanziati dal Comune sviluppavano in media circa un miliardo di impegni e 600 milioni di pagamenti all’anno. Fra 2014 e 2016 gli impegni sono crollati a 379 milioni e i pagamenti a 305, con una tendenza discendente che prosegue nel 2017.
Nel volume vengono analizzati questi dati in dettaglio e viene proposta un’analisi comparativa con le altre capitali europee (Londra, Parigi, Madrid, Stoccolma), da cui emerge che Roma è il fanalino di coda.
Oggi gli investimenti pubblici a Roma, compresi quelli delle imprese concessionarie di pubblici servizi, sono pari allo 0,6 per cento del Pil, contro un dato nazionale dell’1 per cenmto. Dovrebbero quasi raddoppiare per riportare Roma sulla media nazionale.
Si tratta di una questione che è prioritario affrontare all’interno di qualsiasi progetto che si ponga l’obiettivo di risollevare la città. Il volume approfondisce poi i temi relativi alle principali reti infrastrutturali, anche in relazione ai problemi e alle opportunità delle aziende pubblice locali concessionarie: energia e acqua (Acea), trasporto pubblico locale (Atac), rifiuti (Ama).
Gli errori devastanti della politica locale e il minimalismo a 5 stelle
Il volume propone una lettura delle diverse fasi politiche che hanno attraversato Roma negli ultimi 25 anni. Fra le cause delle difficoltà che oggi la città vive viene esaminata una serie concatenata e in alcuni casi devastante di errori da parte delle classi politiche locali che si sono avvicendate alla direzione della città dopo il quindicennio di stabilità cominciato nel 1993 con la prima elezione diretta del sindaco, a cui si aggiunge una grave disattenzione da parte dei governi nazionali.
L’analisi si sofferma sul quinquennio della sindacatura Alemanno, sulla fase della giunta Marino e del ciclone scatenato dal “mondo di mezzo”, sulla successiva fase commissariale, sulla giunta pentastellata insediata nell’estate 2016.
La cifra dominante dell’amministrazione Raggi viene interpretata non solo in relazione all’impreparazione, ma soprattutto alla paura. Un sentimento che non ha impedito il dipanarsi di uno stillicidio di sbagli e scivoloni, ma che ha determinato in più la rinuncia a qualsiasi progetto o linea di lavoro che possa presentare qualche complessità, l’orientamento insomma verso un modello amministrativo minimalista che dà per scontato e irrimediabile il declino di Roma e cerca al più di convincere la pubblica opinione che questa decrescita possa essere “felice”.
Immobilismo e minimalismo stanno però, all’inizio del 2018, facendo esplodere problemi rilevanti nella città, ad esempio sul sistema dei rifiuti e in quello dei trasporti, anche in conseguenza di scelte della giunta comunale che mostravano i loro difetti fin dai mesi passati.
Roma avrebbe certamente bisogno di un altro passo. Per cambiare passo sono necessarie due condizioni. La prima è che la dirigenza politica e tecnica del Campidoglio riesca a squarciare il velo di paure e insicurezze che generano immobilismo, apatia, lentezza, assenza di iniziativa sui temi più importanti per il futuro della città. Il che dipende dalla capacità di lavoro e di intelligenza strategica di quella dirigenza, che in Campidoglio sono al di sotto del necessario da molti anni. La seconda è la collaborazione di tutte le altre istituzioni e un continuo affiancamento del governo nazionale.
Roma però non è soltanto il Campidoglio. È una città ricca di società civile sana, forze produttive dinamiche, associazionismo radicato e diffuso sui territori e nel mondo del lavoro e dell’impresa, cultura della comunità e della solidarietà testimoniata da un ampio volontariato, università e centri di ricerca, sistemi di relazioni di dimensione internazionale, fermenti e attività culturali anch’essi di livello internazionale.
Può trovare la strada e la forza per risollevarsi e per affrontare i tre problemi di fondo che vengono individuati in questo libro: l’innovazione del terziario urbano tradizionale privato e pubblico; la riforma della governance pubblica locale nelle direzioni indicate dalle migliori esperienze europee; l’avvio di un nuovo ciclo di investimenti sui servizi e le infrastrutture di pubblica utilità e per la ricucitura e la qualità urbanistica e sociale dell’ampio territorio urbano e metropolitano.
Può farlo spingendo e, se possibile, costringendo le istituzioni a superare la paura e a ricominciare a lavorare per vincere le sfide da cui dipende il futuro della comunità.
La speranza di chi ha scritto questo libro è che le idee e il lavoro che vi sono documentati possano dare un contributo, anche soltanto con una goccia nel mare dei problemi, ad aiutare il percorso e il bagaglio informativo delle tantissime persone di buona volontà che vorrebbero vedere la loro città risalire la china e che si impegnano, o hanno intenzione di farlo, in vista di questa prospettiva.
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